HomeNEWSSostenibilitàMake The Label Count, una campagna contro il greenwashing

Make The Label Count, una campagna contro il greenwashing

Si chiama Make The Label Count la nuova protesta avviata da una coalizione di associazioni contro il fenomeno del greenwashing. Il gruppo chiede ai consumatori di interessarsi e battersi maggiormente per il tema in questione e alla Commissione Europea di creare un’etichettatura di sostenibilità trasparente, completa e accurata.

Negli ultimi tempi si sente molto spesso parlare di greenwashing. Ma cos’è e quando si verifica? Il greenwashing è quel fenomeno del marketing per cui le aziende promuovono delle campagne ambientali per evidenziare il proprio impegno nel campo, contrariamente a quanto dimostrino le azioni concrete e i risultati. Così facendo l’impresa mira a conseguire un buon posizionamento nel campo della sostenibilità ambientale ed ottenere in cambio dei benefici per quanto riguarda l’immagine e di conseguenza in termini di fatturato.

Nasce così Make The Label Count una nuova campagna lanciata lo scorso ottobre, da un gruppo di organizzazioni per attirare l’attenzione della Commissione Europea sul tema e richiedere un controllo più ferreo nel campo delle etichette dei vestiti: devono essere trasparenti, complete e chiare. Per le organizzazioni coinvolte, la Commissione Europea che nel 2013 ha avviato PEF (Product Environmental Footprint) un metodo per valutare l’impatto ambientale, sta creando confusione e orientando erroneamente i consumatori nelle loro scelte. 

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Make The Label Count invita i produttori e consumatori di tutto il mondo a mostrare il loro impegno e sostegno nel campo e allo stesso tempo invita la Commissione Europea a rimediare a questa situazione.

Dalena White, co-portavoce di The Label Count ha ammesso i grandi passi avanti che sono stati fatti nel campo, ma evidenzia ancora delle debolezze: “Vogliamo che i consumatori abbiano piena visibilità della sostenibilità di un prodotto e, nella sua forma attuale, la PEF non lo fa. Abbiamo bisogno di informazioni affidabili sul fatto che i vestiti siano realizzati con materiali rinnovabili e biodegradabili, se siano riutilizzabili e riciclabili e se gettino microplastiche nei nostri ecosistemi che inquinano le catene alimentari. Solo allora potremo ottenere un’etichetta di sostenibilità per l’abbigliamento che fornisca ai consumatori informazioni credibili che diano sostanza alle affermazioni ecologiche impedendo il greenwashing”. 

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